Design, spazio ed empatia.

Quante volte ci troviamo faccia a faccia con le decisioni? E quante altre volte Interpretiamo male le parole che ci vengono dette? E quante altre volte non capiamo il senso sottile di frasi e concetti che ci vengono riferiti, utili per la nostra crescita personale e professionale?

A tutti è capitato di dover interpretare qualcosa, un essere umano è un grande calderone di ragione ed istinto, in percentuali differenti a seconda di tante questioni.  Fattori personali e sociali, esigenze di diverso ordine e grado stimolano la nostra comunicazione in ambiti spesso imprevisti.

E perciò anche imprevedibili.

Ma c’è una cosa che possiamo prevedere, c’è un fattore che ci contraddistingue dal puro istinto del mondo animale e che ci dà un vantaggio, giorno dopo giorno. E questo dettaglio di per sé inclusivo si chiama empatia. Che non ha nulla a che fare con la simpatia o l’antipatia, sentimenti comuni e che creano modi di ragionare e di fare anche collettivi.

L’empatia è ragionamento puro, l’empatia è fermarsi prima del giudizio e andare verso il nostro interlocutore. “Andare verso” significa fermarsi un attimo e pensare, attivare quelle connessioni che ci permettono di far lavorare la nostra mente e il nostro pensiero, attraverso quelle informazioni che necessitano di connessione alla realtà dei fatti che siamo stimolati ad interpretare.

Io credo che la vera comunicazione, quella utile oggigiorno, sia di tipo empatico. 

Comunicare qualcosa non è più relegabile ad un metodo, non più la semplice necessità di passare informazioni per ottenere qualcosa, ma serve ora dare un vantaggio al nostro interlocutore, a prescindere dalla simpatia o meno che nutriamo nei suoi confronti. A prescindere dal vantaggio che vogliamo ottenere per noi stessi o per il nostro lavoro. 

Comunicare in modo empatico e programmare il nostro comportamento verso l’ascolto e imparare a nutrire i nostri comportamenti dalla valutazione ponderata di ciò che ci troviamo di fronte, siano essi altri essere umani o cose, oggetti, spazi con cui abbiamo a che fare ogni giorno.

Le persone, come lo spazio, incidono sui nostri comportamenti, lo penso da sempre e in diversi anni di carriera come architetto e designer l’ho notato in molte situazioni.

Creare empatia e lavorare con l’empatia, progettare lo spazio delle relazioni tra le cose e le persone, significa occuparsi in primis di un’esigenza primaria dell’essere umano. Ovvero quella di interessarsi a tutto ciò che accade intorno agli oggetti, non necessariamente negli oggetti stessi .

Oggi giorno il designer deve essere un attento osservatore empatico dello spazio, anche se progetta piccoli oggetti in ceramica, spesso personalizzati fino alla forma come faccio io. 

Qualche sera fa il mio socio ha preso questi due piccoli robot e li ha fotografati. Mi ha spedito alcuni scatti e, tra i tanti, ho trovato questo.

Ora guardiamo questa immagine tutti quanti e, senza ragionarci troppo, proviamo a capire che messaggio ci dà.

Per alcuni di noi i due robot staranno litigando, per altri si staranno sussurrando qualcosa, o saranno complici per qualche nefandezza, per altri staranno progettando un nuovo modo di salvare il mondo.

Quella sera in cui vidi per la prima volta questa foto, il mio “sentire” del momento mi rispose negativamente, i due amici stavano affrontando una pesante discussione. Due giorni dopo, riguardando la stessa immagine, ho sorriso ed ho avuto un’altra intuizione, quella intuizione che un progettista empatico dovrebbe sempre avere.

I miei pezzi non possono litigare, stanno andando in ogni parte del mondo per comunicare gioia, spensieratezza, sono simboli di ricordi di un’infanzia, sono posizionabili accanto al monitor del nostro computer mentre lavoriamo per farci compagnia, come sul comodino oppure sono regali che facciamo alle persone a cui vogliamo bene. Hanno salvato la nostra azienda dal Covid. Se non c’erano loro il nostro commercialista poteva dirci ciao anche a inizio anno.  

Nel loro piccolo, in una dimensione spaziale che non supera i 12 cm di altezza, questi pezzi diventano parte del nostro mondo, i nostri movimenti, del nostro agire. In ogni casa e in ogni ufficio a seconda di chi li ha voluti e di chi se li trova davanti, spesso con molta sorpresa.

I nostri piccoli robot ci ricordano alcuni valori fatti di empatia e gentilezza che hanno molto a che fare con la nostra vita su questo pianeta.  Come loro proteggevano e salvavano l’umanità dagli attacchi degli extraterrestri o dei mostri che si risvegliavano e uscivano improvvisamente dalla crosta terrestre, anche noi possiamo proteggere e preservare tutti noi.

Mettendoci in contatto empaticamente, senza pretendere la perfezione che non è di questo mondo – non lo era nemmeno dei nostri eroi di acciaio -, pretendendo molto da noi stessi in quanto utili ad un percorso umano che ognuno di noi deve imparare a coltivare, giorno dopo giorno, senza stancarsi di sbagliare e di chiedere scusa, dando il giusto peso ai propri successi e alla propria ricerca. Studiando con costanza.

Questo scritto è innanzitutto promemoria per me stesso, un monito a ricordarmi cosa sono venuto a fare su questo pianeta. Spero quindi possa essere d’ispirazione anche per voi.

Alla fine si tratta sempre di crescere, solo in questo modo possiamo avere e dare forza, tutti insieme. 

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