Due

Dualità. Non credo finora di aver insistito poi tanto sul concetto di dualità, almeno a parole intendo. Sì perché ogni mio progetto è duale, intendo nel suo continuo rimando alla realtà come doppia forma, uomo-donna, luce-ombra, bene-male, eros-thanatos, pianta-sezione e così via, per un architettonico che ne diventi metafora dal principio, durante e dopo. Perché lo spazio è architettura e io lo so che è una dura realtà, ma bisogna prenderne atto. E si deve darne atto alla vita, l’uomo non è artefice di creazioni, l’uomo costruisce o semmai <genera> imbrogli, pensieri che sanno di buono o di cattivo. Non credo di aver insistito programmaticamente nella <dualità> perché non credo ci sia rapporto preferenziale. In terra, tra esseri viventi o esseri viventi e non viventi insieme, l’uomo si regola e sa se approfittarne oppure no, c’è una fenomenologia tutta hegeliana dietro alla sostanza prima dell’idea, è duale appunto. Uomo-donna, maschio-femmina, angolo-facciata, tutto ciò che vive per mezzo dell’altro si manifesta nell’esplorazione di quei fenomeni che, riconoscibili solo per mezzo del loro <altro> non necessariamente appaiono in contrasto, ma semplicemente insieme.

PULL-LOVERS, Still life by Jean Bonardi Photographer, 2014

E’ questo un aspetto ricorrente che riconosco ai miei pensieri, perché forse è così il mio pensare, per quei collegamenti che non si esauriscono nel tempo prestabilito, non vi è simulazione nel metterli insieme, <stanno> e questo mi basta. Forse serve avere memoria per queste cose, <vidèo>, accettarne le dirette conseguenze nel progetto, serve che io provochi, di volta in volta, quell’attimo <che è stato e mai più ritornerà>, forse fa meno male pensare a un uomo-donna sempre insieme e forse c’è un lato romantico in tutto ciò, in un uomo che si ama solo quando rimane da solo ad amarsi, alla sua maniera, in un tempo che consuma coscienza e fede nel ritrovare un segno sofferto, in uno <stare> definito dalle risultanti della fatica e del dubbio – traguardo insoluto tra il tutto e il niente, in cui qualsiasi cosa in tutto o in niente potrebbe ad un tratto trasformarsi.

OVOSAPIENS, Markandré Fotografia analogica per DEMO CERAMICS, 2016

Ma sarebbe così già tutto chiaro allora, spiegato, troppo facile in definitiva. La mia non è ricerca nella o <della> dualità, mi capita di pensarci e allora la fermo un quell’attimo in cui ne riconosco lo spirito – per nulla assoluto – e quindi non mi sbrana, si posa leggera e gioca, con me forse si sente bene, non la ribalto e non me ne innamoro e nemmeno la idealizzo. Perché alla fine mi piace pensare di poterne avere di più, di arrivare sempre oltre, dove mi aspetto un altro passo tra il dubbio e me, dove le rivelazioni della natura e di un cosmo di dubbia forma stiano dentro qui e pulsino forte e che mi rodano pure a volte, ma che si spostino veloci qua e là quando le note iniziano a salire, o che poi si tacciano o parlino all’improvviso, che mi permettano di mettere in firma ogni certezza, per poi riprenderla e demolirla facendone castello coi pezzi rimasti e, quasi dispiaciuto, prendere di questi pezzi e rimetterne un po’ insieme, guardarli ad occhi socchiusi per vederli ancora, com’erano, o come immagino diventeranno. Duale.

LA CASA NUOVA, Markandré Fotografia analogica per DEMO CERAMICS, 2016

 

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