I don’t like mondays (tell me why?)

Stamattina mi trovavo immerso mio malgrado in alcune considerazioni importanti. Importanti per me, sia chiaro, poi che siano condivisibili è un altro paio di maniche.

Mi sono svegliato con una serie di pensieri complessi sulla necessità di fare innovazione nel mio settore, mi chiedevo se sia oggi realmente richiesto uno sforzo per innovare o se tutto ciò che proponiamo vada accettato a prescindere. Perchè alla fine è questa la sensazione che mi pervade sempre più spesso. Ovvero di stare dentro a un calderone che gira all’infinito.

Pensavo al mio modo di prendere decisioni importanti, specie ai metodi che uso per conferire una priorità ai progetti e come giustificare la loro valenza in termini di proposta.

Nulla di più difficile.

Alla fine ho pensato a Bob Geldof, che in uno dei suoi preziosi momenti di lucidità parla di azioni senza senso.

Il brano I don’t like mondays, ispirato ad un fatto di cronaca reale ci spiega come alcune idee, benché prive di significato, siano perfette nella loro distinzione logica e nel loro spazio, in un mondo in cui entrare potrebbe risultare impegnativo.

Potremmo sempre trovare qualcuno che ci chiede “Tell me why?”, e non sapere rispondere per questioni di discrepanza logica.

Ognuno di noi provvede a un mondo diverso, faccia a faccia con le proprie idee, con un mondo che viene creato da certe bellissime azioni senza senso a cui non possiamo dare spiegazione se non che “l’ho fatto perché l’ho fatto”.

A volte, lo ammetto, mi sento come Brenda Spencer che non riesce a rispondere alla ripetuta domanda dei giornalisti “Tell me why”, perché l’hai fatto? L’idea, quella cosa che nasce da tante questioni che puoi spiegare ma che in fondo, molto in fondo, possiede una sensibilità tutta sua, tutta tua, di quella spinta a mettere in pratica cose che solo poi troveranno una collocazione.

Alla luce di chi ne parlerà e di come e quanto ne parlerà, alla luce delle vendite e delle critiche, alla luce dei riflettori e di quando si spegneranno, alla luce di un momento che ha incipit, svolgimento e fine ed ha la durata di un attimo.

(…) I don’t like mondays
I wanna shoot
the whole day down.

Ma i miei pensieri erano stamattina rivolti principalmente al nostro ultimo progetto per Millegradi.

L’ho spiegato tante volte il perché di R4Robot, e immagino che alcune ragioni del progetto siano chiare ed evidenti a prescindere, contando sui sentimenti e i ricordi di ognuno di noi. Ho spiegato anche di un ideale incontro tra ritratti romani e samurai e di tante altre questioni affini all’interpretazione iconografica e storica.

Mi sono impegnato a trovare il nesso costruttivo tra l’idea e lo sviluppo dei prodotti, senza scadere nella letteratura di progetto. Ho fatto un puzzle tanto complesso quanto veritiero di tutti i processi che abbiamo messo in atto per capire se poteva essere questo un progetto accettabile, un concetto condivisibile, un sentimento comune o una semplice illusione di appartenenza ad un’epoca che, a dire il vero, non ci vedeva ancora protagonisti perché troppo piccini.

Poi abbiamo insieme trovato un varco tra tutte queste domande, una risposta che ha consolidato disegno, dettaglio progettuale, interpretazione e metodi di realizzo, compresa la scelta delle dimensioni, dei colori e delle finiture. Alla fine avevamo un quadro completo, un risultato insomma.
Come dire che la coscienza era finalmente a posto.

Ma.

Ma la verità, la nuda verità, è sempre e solo una.
E la storia si è ripetuta anche stavolta.

La verità era semplice, più semplice di quella che mi sono raccontato. Quella di ogni progetto e che coincide sempre con l’inizio e la fine di ogni atto.


La verità è che l’ho voluto fare e basta.

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